La scienza della nutrizione investe in pieno l’area pediatrica almeno per tre motivazioni. In primis essa occupa un ruolo primario nella crescita e nello sviluppo del bambino sano, in secondo luogo tantissime patologie pediatriche presentano aspetti nutrizionali di rilievo a partire dalle malattie gastrointestinali a quelle metaboliche, da quelle nefrologiche a quelle epatiche o allergiche solo per citare alcuni esempi. Infine, come la letteratura scientifica ha abbondantemente dimostrato, le principali patologie metabolico degenerative correlate all’alimentazione, nonché importante causa di morte dei paesi industrializzati, quali ipertensione, malattie cardiovascolari, diabete, steatosi epatiche, affondino le radici in età pediatrica.

Ma qual è il momento cruciale per il bambino dal punto di vista nutrizionale? Ovviamente lo svezzamento, oppure divezzamento, il quale rappresenta la fase di transizione dall’alimentazione esclusivamente lattea dei primi mesi ad una dieta diversificata, nella quale vengono introdotti cibi complementari. Si tratta di un periodo delicato in cui il bimbo passa da un’alimentazione dipendente ad una indipendente. Progressivamente il latte materno da solo diventa insufficiente a soddisfare le richieste fisiologiche di macro e micronutrienti del bambino in crescita, soprattutto per quanto riguarda l’assunzione di proteine, di ferro, zinco e alcune vitamine liposolubili come la A e la D.

Come e quando deve avvenire lo svezzamento? Il punto di riferimento è sicuramente il pediatra, ma se questo è poco incisivo, poco convincente, evasivo, spesso i genitori sono disorientati, perdono la pazienza, si lasciano convincere da idee bizzarre dei non addetti ai lavori e sposano informazioni non supportate da studi scientifici. Pensando che ciascun genitore possa e debba avere la propria idea a riguardo e, senza nulla togliere all’istinto di mamma, va sempre e comunque tenuto a mente che la corretta informazione scientifica sia la premessa per garantire la salute dei bambini. Per tale motivo è fortemente sconsigliato il fai da te o l’emulazione di amici o parenti, bensì si invitano i genitori a rispettare i consigli del personale sanitario e le linee guida aggiornate. Vediamo insieme quali sono.

Non esiste un’epoca precisa e uguale per tutti i lattanti in cui iniziare lo svezzamento: essa dipende da numerose variabili individuali tra cui le esigenze nutrizionali, lo sviluppo neuro-fisiologico e anatomo funzionale. In termini pratici, il bimbo deve stare seduto con la testa dritta, deve cominciare ad avere interesse per il cibo e avere l’istinto di afferrarlo con le mani per portarlo alla bocca. Inoltre, cosa più importante, tutti i bambini nascono col riflesso di estrusione che fa loro spingere la lingua in fuori quando la bocca viene a contatto con qualcosa di solido. Quindi il bambino spingerà in fuori con la lingua il cucchiaio o qualunque altro strumento si tenti di infilargli in bocca.

Tale riflesso scompare gradualmente entro il quinto mese di vita. Detto ciò, per quanto i tempi possano essere personalizzati, si cerca di identificare i limiti condivisibili a livello di popolazione. A tal proposito le diverse società scientifiche internazionali, concordano nel raccomandare l’allattamento al seno per i primi sei mesi. L’introduzione dei cibi complementari può avvenire tra i 4 e i 6 mesi, mai prima dei 4 mesi compiuti. È altresì consigliabile iniziare lo svezzamento in corso di allattamento materno. La letteratura fornisce inoltre evidenze che un ritardato svezzamento oltre i 6 mesi possa determinare un rallentamento della velocità di crescita, mentre l’introduzione precoce dei cibi solidi possa eccessivamente accelerare la velocità di crescita e soprattutto avere effetti a lungo termine con incrementato rischio di sviluppare obesità, diabete di tipo 2 e malattie cardiovascolari in età adulta. Il sesto mese resta un valido spartiacque nella vita nutrizionale del bambino: è proprio in questo periodo che sia ha la piena maturazione funzionale dell’apparato digerente sia dal punto di vista enzimatico, che dal punto di vista immunologico. Inoltre avviene una riduzione del rischio di sensibilizzazione allergica verso gli alimenti, la chiusura delle giunzioni nelle cellule contigue della mucosa intestinale. Ne consegue una minore permeabilità intestinale, migliora l’assorbimento dei nutrienti e le capacità digestive.

In passato, una precoce esposizione ad alimenti solidi era stata associata allo sviluppo della patologia allergica, soprattutto a carico della pelle. Oggigiorno si sta osservando un cambiamento di tale paradigma. Infatti, il concetto di induzione di tolleranza orale si sta diffondendo con l’obiettivo di studiare se l’introduzione di cibo complementare dopo almeno 4 mesi di allattamento al seno esclusivo possa portare ad una riduzione della prevalenza di allergia alimentare. La strategia di ritardare l’introduzione di cibi solidi oltre i 6 mesi, d’altra parte, non sembra conferire benefici. La letteratura ribadisce che non vi è alcun motivo nel ritardare oltre i 6 mesi di vita l’introduzione di alimenti solidi, sia nel bimbo con rischio di atopia, ossia con un parente di primo grado allergico, che in quello senza alcun rischio. In conclusione, una volta avvenuta l’introduzione di cibo alternativo al latte materno, per quanto riguarda i bambini a rischio allergico non è raccomandato introdurre i cibi potenzialmente allergizzanti come pesce, uovo, frutta secca secondo modalità diverse rispetto ai bambini non a rischio. Anche per quanto riguarda l’allergia al glutine, quindi la malattia celiaca, né il tempo di introduzione, né le quantità di glutine sembrano avere un effetto sul rischio di sviluppare la malattia. La ritardata introduzione di glutine comporta solo il ritardo nella comparsa delle manifestazioni cliniche. Per cui gli alimenti contenenti glutine possono essere introdotti in qualsiasi momento dopo il sesto mese di vita.

Una problematica attuale correlata ad una globale iperalimentazione è sicuramente la diffusione del consumo di bevande zuccherine (camomilla, tisane al finocchio, succhi di frutta) anche nei bimbi molto piccoli. Si tratta di un’abitudine inutile e rischiosa: non si apporta, infatti, nessun beneficio nutrizionale e si riduce l’assunzione di latte che deve restare comunque una componente fondamentale nel primo anno del bambino. Ma l’aspetto più allarmante della precoce introduzione delle bevande zuccherine sono alcuni studi scientifici che la correlano ad un successivo maggiore intake calorico nelle epoche successive con conseguente sviluppo (fortunatamente non sempre) di obesità pediatrica, divenuta negli ultimi anni una vera pandemia. Pertanto mamme, occhio alle etichette quando comprate cibi per i vostri bimbi: è fortemente raccomandato il divieto per il saccarosio, fruttosio, sciroppo di glucosio, miele almeno fino ai 12 mesi. Se volete dare tisane o succhi di frutta, dopo i sei mesi basta non aggiungere zucchero; nel caso dei succhi di frutta basta aggiungere un po’ di acqua oppure latte alla frutta finemente tritata.

Stesse raccomandazioni anche per il sale, bandito completamente almeno fino ad un anno. Il suo consumo è deleterio: favorisce l’infiammazione, promuove alterazioni a carico delle pareti vasali, oltre ad avere, il bambino, un apparato escretore ancora non debitamente pronto. Secondo i LARN (Livelli di Assunzione di Riferimento di Nutrienti ed energia per la popolazione italiana), l’assunzione adeguata di sodio nel secondo semestre di vita è di circa mezzo grammo al giorno, ma tale quantità di sodio è già contenuta nei cibi offerti al bambino, pertanto non è necessario aggiungere sale.

Spesso i genitori, timorosi che il bimbo non cresca abbastanza, preparano per i bimbi porzioni davvero esagerate. Il fabbisogno energetico giornaliero durante lo svezzamento è pari a 70-75 Kcal/kg/die suddiviso tra carboidrati, proteine e grassi. Quindi un bimbo di circa nove mesi che pesa poco più di 9 kg ha orientativamente bisogno di 650/700 calorie che provengono per il 50/60% dai carboidrati, per il 40 % da grassi e per 10 10% da proteine. Per i grassi è fortemente raccomandata la limitazione dei grassi saturi preferendo quelli che provengono dal pesce e dall’olio extra vergine di oliva. Cautela anche con il dosaggio delle proteine, le quali secondo le linee guida aggiornate dovrebbero essere intorno a 1,3gr/Kg/die nel periodo che va da 6 a 12 mesi per poi scendere a 1gr/Kg/die a partire dai 18/24 mesi. Sempre prendendo come punto l’esempio del bimbo sopra citato, con 9 kg abbondanti, il suo fabbisogno proteico è di circa 13 gr di proteine giornaliere. Sappiate care mamme, che nel 99% dei casi tali dosi vengono duplicate se non raddoppiate. Basti pensare che un tuorlo d’uovo ha circa 6 gr di proteine, 100 gr di omogenizzato di pollo ne hanno 6, 10 gr di parmigiano quasi 4 gr di proteine. A questo basta aggiungere yogurt e latte e la frittata è fatta. Non è difficile intuire che è facilissimo sforare.  Non che dobbiate fare tutti questi calcoli ad ogni pasto, è difficile per la nostra impronta culturale seguire pedissequamente le linee guida, ma proprio per questo chiedete consigli agli esperti e seguite qualche piccolo accorgimento come non riempire la minestrina di parmigiano, non proporre tutti i giorni proteine sia a pranzo che a cena, non esagerare con le porzioni di pasta o con la frequenza dei biberon, specialmente dopo la pappa della sera. Anche se potete sembrare un po’ severi, non abbiate sensi di colpa, è solo per il bene di vostro figlio.

Quanto scritto in questo articolo è solo un assaggio del grande e affascinante mondo dello svezzamento, una doverosa premessa per presentare a tutti il nobile progetto del polo pediatrico del Labaurelia. Affronteremo negli articoli futuri aspetti più tecnici circa i macro e micronutrienti, la valutazione dello stato nutrizionale, la preparazione delle prime pappe, la sicurezza alimentare, le caratteristiche del latte di proseguimento, la nutrizione nelle più comuni patologie pediatriche. Tutto ciò per gestire meglio e con più consapevolezza la salute alimentare dei vostri figli.

A presto care mamme, noi non vi abbandoniamo.

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